BASSA CADENZA, LA GIUNGLA DI EVIDENZE ED OPINIONI, CHI HA RAGIONE?

Forse nel podcast siamo sembrati prevenuti sull’allenamento a bassa cadenza, ma la verità è che è stata la prima forma di allenamento con cui mi sono confrontato anni fa. Quando avevo 12 o 13 anni mi regalarono il quadernone di bicisport “ALLENAMENTO”, che aveva un capitolo intero dedicato alle salite di forza
resistenza, SFR, ideate da Aldo Sassi e dal suo team per il tentativo di record dell’ora di Francesco Moser.
Inoltre youtube era pieno di video di Ivan Basso, mio idolo assoluto dell’infanzia, che faceva SFR durante l’inverno per prepararsi alla stagione.
Per anni ho quindi eseguito e provato a valutare questa metodologia di allenamento, ma ho sempre avuto la sensazione che il costo di fatica fosse troppo alto per l’effettivo beneficio, e questa teoria mi è sembrata ancora più confermata quando ho iniziato a studiare i sistemi energetici e a capire cosa limita effettivamente la prestazione.
In generale l’idea di “forza resistente” mi ha sempre lasciato perplesso, in quanto qualsiasi esercizio richiede effettivamente una forza; si può classificare come forza resistente qualsiasi esercizio prolungato, la cui prestazione è limitata dai sistemi energetici.
La mia idea di partenza è quindi che per migliorare la propria “resistenza alla forza” in bici, in realtà serve aumentare ftp, alzare vo2max, migliorare efficienza e così via.. ovvero tutto quello su cui lavoriamo con qualsiasi tipo di allenamento.

Nonostante questo però, da sempre osservo attività di ciclisti professionisti seguiti da coach di altissimo livello che si allenano a basse cadenze, per cui vale la pena di andare ad analizzare più a fondo la questione scendendo nella ricerca scientifica.

Una review di qualche anno fa sull’allenamento a bassa cadenza, “Effects of Cycling Training at Imposed Low Cadences – A Systematic Review”, Ronnestad et al, 2017 trae la conclusione che non ci sia nessuna evidenza sull’allenamento a bassa cadenza, ma anzi ci dice che spesso ci sono evidenze che l’allenamento a cadenza preferita sia migliore.

Fra gli studi analizzati nella review ce n’è uno in particolare che sembra non lasciare spazio a dubbi, ma che se visto in profondità ci lascia delle perplessità sul metodo e quindi sulla sua validità.

Lo studio è “Low cadence interval training at moderate intensity does not improve cycling performance in highly trained veteran cyclists” Kritoffersen et al, 2014,
Questo studio confronta due gruppi di ciclisti allenati e fa allenare per 12 settimane i due gruppi con le seguenti modalità: il gruppo low cadence fa due sessioni da 5x6min a moderata intensità e bassa cadenza (40rpm – 73-82% hr max) con recupero 3min a bassa intensità (60-72% hr max) (in totale quindi il lavoro è di 60min a intensità moderata con 30min a intensità bassa), mentre il gruppo free cadence fa 90min totali di intensità moderata.
La conclusione è che il gruppo che si è allenato a cadenza preferita è migliorato di più su una TT di 30min ed ha migliorato di più la potenza a 4mmol.

Il problema principale di questo studio è che confronta 60min di lavoro del primo gruppo con 90min di lavoro nel secondo gruppo, forse perché vista la maggiore quantità di bassa intensità che si sommava al lavoro a bassa cadenza (riscaldamenti, recuperi, defaticamento) per matchare il lavoro totale non era
possibile far lavorare 90min a intensità moderata il gruppo low cadence.
In questo modo però uno dei due gruppi fa un lavoro metabolicamente più impegnativo, ed è abbastanza scontato il fatto che migliorino di più.

Filip Speybrouck (ciclista, exercise physiologist e fondatore di desportkamer), ha tweettato a proposito di questo studio:


“purpose of low cadence work is neuromuscular pathway. Don’t work at a specific HR”

È vero che per matchare intensità con diverse cadenze equiparare la frequenza cardiaca non ha senso.
Bisogna anche dire però che in questo caso il gruppo low cadence, poiché la frequenza cardiaca rimane più bassa con bassa cadenza, ha probabilmente lavorato a intensità superiore; quindi, al massimo questo “errore” dei ricercatori avrebbe potuto far guadagnare valore alla bassa cadenza, che però è evidentemente meno efficace.

Il tweet continua
Use a power but focus on torque (N m). Gross efficiency will improve.

Non ci sono evidenze per supportare questo miglioramento in gross efficiency.
L’unico studio da cui la bassa cadenza sembra uscire vincitrice ha evidenze negative sulla gross efficiency in seguito all’allenamento a bassa cadenza

 

Si tratta di “The effect of low vs high cadence interval training on the freely chosen cadence and performance in endurance trained cyclists” Whitty et al. 2016

 

16 ciclisti allenati vengono fatti pedalare al 60% della max power a diverse cadenze e a una cadenza preferita, e la performance è stata pre-testata con una crono di 15 min.
Sono poi assegnati in modo casual a un gruppo alta cadenza HC o a un gruppo bassa cadenza LC, e a seconda del gruppo hanno fatto 3 sessioni di intervalli a settimana per 6 settimane, con cadenza 20% più alta o 20% più bassa della loro cadenza preferita a seconda del gruppo La gross efficiency migliorava in modo significativo principalmente nel gruppo alta cadenza.
Però, contro intuitivamente, il gruppo bassa cadenza migliorava di più la performance nella TT, 16% vs 8%, a detta degli autori forse per miglioramento di fattori neuromuscolari della forza.

Questa è l’unica evidenza che abbiamo dove si vede un miglioramento maggiore perfomando bassa cadenza, ma si tratta di cadenze solamente 20% più basse di quella ideale (es. 75rpm vs 90 preferite), per cui il miglioramento maggiore seppur significativo statisticamente potrebbe essere casuale e mi sembra molto strano che possa essere attribuito ad un cambiamento nel coinvolgimento neuromuscolare, soprattutto quando altri studi che prendono in esame cadenze minori non hanno raggiunto questa conclusione. 
Però è comunque un punto a favore della bassa cadenza da tenere in considerazione.

Tornando ai tweet, mi sembra molto sopravvalutato il focus sui Nm (Newton per metro) di cui tutti i coach parlano. Non basta in fondo allenarsi a uno specifico target di potenza e una specifica cadenza? Non riesco a capire come spostare il focus sui Nm possa rendere magicamente l’allenamento effettivo.

Recentemente la discussione sugli allenamenti a bassa cadenza è tornata alla ribalta perché utilizzati dai coach del team UAE Emirates e citati in un’intervista di Jay Vine. Anche questi coach sembrano avere un’ossessione con i Nm, e proclamano un grosso beneficio di questo allenamento a bassa cadenza senza però portare evidenze convincenti.

 

John Wakefield (coach del team UAE emirate) lascia questo tweet:

 

 low cadence on the bike is not strength training as we think or know.

These sessions create & develop neuromuscolar pathways which are the communication between brain and
muscles. Analysed in Nm or torque not watts.

Curiosamente ad uno dei commenti nel quale viene linkata la review di Ronnestad et al, John Wakefield risponde che per forza quegli studi non portano benefici, perché analizzano cadenze che in realtà non sono basse ma solo leggermente più basse della preferita.
Eppure leggendo la review mi era sembrato che l’unico studio a favore fosse proprio quello che prende in esame una cadenza fra le 70 e le 80 rpm come bassa, mentre quelli che vanno ad osservare rpm più basse non riportano alcuna evidenza se non addirittura svantaggi.
Come vedete, il percorso nella disputa della cadenza è pieno di contraddizioni e scontri ideologici che però non sembrano mai venire ad una convincente conclusione. Ma proseguiamo

 

Riassumendo il suo tweet e le risposte ai commenti, rimane la fissa per misurare in Nm (spiegatemi cosa cambia), e si aggiunge la citazione di un miglioramento dei pattern neuromuscolari.

 

L’ipotesi di John Wakefield e dei ricercatori dello studio di Whitty et al, ovvero che la bassa cadenza porti ad un miglioramento del pattern neuromuscolare, mi ha ricordato uno studio recentemente pubblicato che  sono andato a cercare.
“Effect of pedaling cadence on physiological responses and neuromuscular fatigue during a single intervaltraining session” Sebastien Duc et al., 2022

Lo studio valuta l’effetto di intervalli a diverse cadenze sulla fatica neuromuscolare periferica e cardiovascolare.
Senza entrare troppo nei dettagli dello studio che potete trovare al link in fondo, la conclusione è che performare sessioni di intervalli a alta cadenza anziché bassa aumenta maggiormente fatica neuromuscolare periferica oltre che a quella cardiovascolare.
Il fatto che la fatica neuromuscolare sia maggiore, mi fa pensare che se voglio migliorare i pathway neuromuscolari devo cercare piuttosto di lavorare ad alta cadenza, non bassa.
Non sono però convinto al 100% di questa mia conclusione, sebbene abbia osservato allenamenti di Uno-X in cui venivano performati drills ad altissima cadenza e bassa intensità, e l’unica risposta che mi do sulla possibile motivazione è proprio tentativo di dare uno stimolo neuromuscolare.

Tornando però ai coaches della UAE, recentemente Jerone Swart tweeta:


“I have watched numerous world tour riders set new PBs for power after completing a good block of torque work where they have achieved PBs in torque. It’s the foundation for producing power”

 

Mi scuserà Swart ma questa non mi sembra un’evidenza sufficiente: è chiaro che la torque migliora quando ci si avvicina alla peak performance, così come migliora la potenza, ma questo non è limitato dalla capacità di fornire ATP ai muscoli, e quindi dall’efficienza dei sistemi, prevalentemente dell’aerobico?

La stessa ipotesi di correlazione causale torque-potenza è presente nello studio “influence of torque and cadence in power production in cyclists”, Peter Leo et al, 2022

I power output di 177 ciclisti sono stati analizzati fra 2012 e 2021. I ciclisti sono stati divisi in base alla performance in world tour / pro continental / u23.
Ciò che si osserva è una forte correlazione fra torque e livello dei ciclisti. Ovvero la torque è più alta nei gruppi PC e WT rispetto al gruppo u23. Non ci sono grosse differenze nella cadenza assoluta, ma ci sono differenze nella potenza, e quindi per forza anche nella torque.

Non credo che questo studio sia molto utile per chiarirci le idee, in quanto riporta secondo me un’ovvietà: è chiaro che non si possono aumentare le cadenze all’infinito, anche perché il range ideale di cadenza dei ciclisti è sempre molto stretto per proprietà biomeccaniche dei muscoli.
Il limite della performance diventa quanto velocemente e quanto a lungo si riesce a fornire ATP, e dipende principalmente dal sistema aerobico. La torque aumenta quando si riesce a fornire più ATP ai muscoli.

Ho provato a pensare ad altri possibili benefici del lavoro a bassa cadenza.
Ad esempio il fatto di elevare l’utilizzo di fibre tipo 2 anche con bassi carichi metabolici.
Oppure potrebbe essere un tentativo di cercare elevata clearance del lattato anche laddove sono costretto ad usare unità neuromotorie grandi, che hanno quindi meno mitocondri.
Spiegherebbe il motivo dell’utilizzo della bassa cadenza soprattutto nella parte “under” di intervalli over-under con spikes, molto utilizzati da Tim Kerrison ai tempi del team Sky dominatore del tour de france.

La verità è che tutte le volte che provo a trovare una spiegazione mi scontro con il pensiero che in fondo quello che conta davvero è fornire ATP ai muscoli velocemente e migliorare l’efficienza dei sistemi, e la mia sensazione è che la bassa cadenza sia spesso utilizzata perché “ha funzionato in passato”, e perché agli
atleti fa comodo pensare di poter ottenere grossi benefici con intervalli brevi.

La mia idea è che con blocchi di lavoro più importanti in z3-z4 eseguiti alla cadenza preferita si possa rendere il sistema aerobico estremamente più efficiente, magari con la stessa fatica muscolare portata da lavori a bassa cadenza molto più brevi e frazionati.
Penso che gli intervalli lunghi e continui siano la strada più efficace per un miglioramento a lungo termine degli atleti, anziché cercare sempre il trucco nella manipolazione della cadenza o di altre variabili che difficilmente riportano evidenze e la cui efficacia ha variabilità interindividuale molto più imprevedibile.

Gaffu